Friday, December 18, 2009

Ode a un colibrì

Se tu fossi uno di quegli uccelli
che cantano canti millenari,
ti porterei delle briciole o forse una trappola.
Ma tu non puoi stare in gabbia
privo del tuo habitat naturale.
Sulle scale che risalgono il parco,
svolazzando tra rose ed orchidee,
giorno per giorno compiamo il rituale della nostra visita.
Nessuno annuncia il mio arrivo, né il tuo.
Ogni giorno vengo a te con un monologo diverso.
Oggi, è quello dell’amore.

Non so se tu usi promettere
che non rifarai gli stessi errori,
e che resisterai a qualsiasi battito d’ali inatteso
vicino al tuo cuore –
per questo ci avviciniamo a poco a poco.
Non ti spingi mai più in là delle rose
e quando mi guardi fisso,
i tuoi occhi paiono caverne piene di perline scure.
Sulla scalinata mentre ti parlo, mentre tu mi fai
una corte aerea
e ti avvicini, io mi blocco
tra le fucsie per osservarti;
e quando le tue ali frullano la luce meridiana
sei come un piccolo vortice che scintilla nell’aria.

Anche se non seguo i passi della tua danza
posso osservare le tue piroette tra tronco e rami.
Come l’amore, sei fugace e risplendente
e non so quale pegno sacrificale offrirti.
Perciò vengo qui ogni giorno,
sperando che tu abbia appreso a fidarti di me
e che un giorno, senza che te lo debba chiedere,
ti avvicinerai per accarezzarmi.
Gli altri passanti non possono vederti
e pensano che io stia parlando al verde infinito.
Un colibrì si lascia vedere solo dagli occhi dell’amore.
Ma tu sei bello, e la tua bellezza mi
impedisce di conoscerti.
La tua forma è dentro di me da sempre.
Quand’ero bambino volevo scalare gli alberi più alti
e prendere tra le mani i tuoi piccoli, in segno di amicizia.
Anche quando il mare serpeggiava nelle mie ossa
tu eri la promessa di qualcosa di irraggiungibile.
Nei miei sogni hai continuato a crescere.
Cogli anni ho imparato che ci si abbandona
con frequenza, dimenticandosi l’uno dell’altro –
tu per altri climi ed altre rose,
io cercando la promessa della tua bellezza
nei giardini della carne.
Sono certo che se non ci temessimo
oggi potremmo incontrarci tra i fiori
e sfidare i passanti con la nostra audacia.
Ma io non ho imparato a propiziarmi l’amore
con le offerte che l’amore esige.
Tentando di toccare le porte del cielo
ho solo imparato a distinguere i colori.
Se veramente fossi audace,
se potessi ancora credere che basta scalare un albero,
il più alto, per arrivare a ciò che ha un nome
ma è al di là delle parole,
se credessi che solo la pazzia di un gesto
potrebbe avvicinarci e portarci oltre i giorni oscuri,

senza pensare né alla morte né alla felicità,
se dopo tanti contatti con altri esseri
avessi imparato a fare le offerte che contano,
con una ghirlanda di orchidee attorno alle tempie,
verrei a te -
o mia luce di ogni giorno, o mio elicottero
verde dell’anima.
Verrei a te offrendoti il fiore più raro, il nettare
più pregiato.

Ad Amherst, le tue visite a qualcuno
che aveva scelto il silenzio come intrattenimento
suggerivano i fiori esotici del Brasile color di cocciniglia.
Un’orchidea brasiliana, ora lo so,
è il corpo che io amo,
è la tua bocca che cerca la mia senza paura
nell’oscurità o alla luce di una candela.
Oggi neppure se lo desiderassi potrei offrirti un’orchidea,

tu hai scelto di cercare altri climi,
di congelarti là sulle frontiere esterne.
Un giorno tornerai ad avvicinarti:
ed io vedrò i tuoi occhi notturni,
mi meraviglierò dell’arcobaleno del tuo piumaggio,
mi torneranno in mente i miei ricordi di bambino,
anche se adesso so che per raggiungerti
non basta credere ai miracoli,
non basta scalare la chioma
dell’albero più alto che ci abbia offerto la vita.

Published in POESIA (Italy)
Traduzione di Antonio Della Rocca

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